Vitamina D e Covid-19

La vitamina D “protegge” dal Covid-19?
La posizione di numerosi studiosi è chiara: poiché la vitamina D è coinvolta nella risposta immunitaria contro i virus in generale e nei confronti delle malattie respiratorie, perché non dovrebbe avere un ruolo anche nella reazione dell’organismo contro il COVID-19?
Già alla fine del 2020 erano numerosi gli studi che evidenziavano come al crescere della concentrazione sierica della vitamina D 25-OH (25-idrossivitamina D, la forma che viene ricercata nei test quantitativi in quanto più indicata a verificare l’effettivo livello di vitamina D) diminuiva l’incidenza o la gravità del COVID-19.

A tal proposito The Lancet, nello scorso mese di gennaio, ha dato voce a numerosi esperti che concordano sul fatto che non solo un’integrazione di vitamina D potrebbe avere effetto soprattutto su quelle persone che ne sono carenti, ma che, in generale, i vantaggi dell’integrazione sarebbero molto maggiori rispetto ai rischi che ciò comporterebbe (sovradosaggio).
Integratori di vitamina D: sì o no?
Conviene fare un’integrazione di vitamina D per proteggersi dal COVID-19? La questione è delicata, poiché dall’inizio della pandemia si sono moltiplicati i messaggi che invitavano ad utilizzare questo o quel prodotto al fine di limitare gli effetti del COVID-19, tanto che il Ministero della Salute è intervenuto per sottolineare come alcuni aspetti siano da chiarire.
Come stanno reagendo gli italiani nonostante le voci dissonanti?
La recente indagine condotta dalla Nutrition Foundation of Italy, riportata dalla rivista online Pharmacy Scanner nella newsletter del 12 luglio scorso, mostra che il 58% degli italiani ha deciso autonomamente di assumere integratori, vitaminici e non, come misura preventiva nei confronti del COVID-19.

Se da un lato è chiaro come non esista uno scontro tra sostenitori della vitamina D e negazionisti dei suoi potenziali effetti, bensì si possa parlare di posizioni diverse tra chi sarebbe a favore di un’integrazione più o meno a tappeto e chi preferisce una prudente posizione attendista, fa riflettere un editoriale comparso nel febbraio scorso sempre su The Lancet, in cui si ricordava che ci troviamo in un “tempo di guerra” e non in una situazione ideale, nella quale ogni decisione può essere presa con tranquillità sulla base di “prove schiaccianti”; pertanto, vista l’emergenza in corso, per evitare di perdere tempo prezioso, potrebbe essere preferibile un maggiore interventismo basato sulle necessità attuali e del prossimo futuro.